CAPOVERDE – LUPI DI MARE, ARAGOSTE E BALENE

da | Gen 26, 2016

Durante i miei viaggi a Capoverde ho avuto modo di incontrare personaggi molto interessanti.Conosciamo un paio di lupi di mare: un italiano e uno scozzese.

PARAMPOLI

Capoverde rientra nei luoghi in cui ho incontrato più personaggi che in qualsiasi altro posto. E quando dico personaggi intendo individui strani, misteriosi, disperati, avventurosi. Gente per cui valga la pena raccontare qualche frammento di storia.

Anni fa mi ritrovai a navigare su un bel veliero bialbero a zonzo per l’Atlantico. Il capitano, un italiano sui quaranta, piccolo, calvo, molto abbronzato e con lo sguardo di quello che ne ha passate tante. Non ricordo il nome, non ha importanza. Il suo secondo un bel ragazzo. Un creolo del posto, sotto ai trenta, con un fisico da lottatore.

Loro due vivevano così, portando in giro turisti curiosi per le acque dell’arcipelago. Non so se la barca fosse loro.

Tra i passeggeri c’era anche una coppia di trentini, ben avanti con l’età. Ricordo lui, un omone grande e grosso con una barba bianca e un paio di occhialetti che lo facevano sembrare una via di mezzo fra babbo natale nel suo laboratorio e un vecchio lupo di mare.

Ci fermammo all’ancora in una baia abbastanza tranquilla e dopo un bagno arrivò il momento del pranzo. Il capitano e il suo mozzo avevano preparato gli spaghetti in una grande pentola e sbucò anche il vino bianco da non so dove. Pranzammo sotto coperta e fu divertente anche se io mi frenai molto a causa della mia scarsa tenuta da mal di mare.

Dopo pranzo saltò fuori una chitarra tutta scordata e senza una corda e uno djembe. Capitano alla chitarra e mozzo alle percussioni.

Così, mentre galleggiavamo in mezzo all’oceano Atlantico, il piccolo italiano e il suo grande amico mulatto ci deliziarono con un mix di canzoni capoverdiane e i grandi successi di Battisti…Avrei dato non so cosa per poter fare una riprese dalla costa sentendo l’eco di quel party marino improvvisato.

Il top però venne raggiunto poco dopo quando il gigante barbuto, tuonò con forte accento Trentino di tirar fuori la pentola (la stessa degli spaghetti) perché avrebbe preparato i Parampoli! Per chi non lo sapesse si tratta di un preparato a base di zucchero, caffè e grappa in quantità! il tutto va scaldato e incendiato flambè. Una vera e propria bomba che ha accentuato le nostre sensazioni per tutto il viaggio di ritorno affrontato di bolina, con la barca tutta di traverso… Il nostro piccolo capitano era letteralmente scappato dall’Italia per una serie di brutte esperienze di vita, trovando rifugio in quel paradiso. Passai tutto il viaggio di ritorno a poppa ammirandolo nelle manovre al timone. Mi piaceva osservarlo e vedere, o immaginare di vedere, nei suoi occhi affatto sereni, quella breccia di libertà perdersi fra la spuma delle onde infrante a prua.

Il piccolo Marco (nome inventato solo perché mi ricordava un po’ Pantani) è il tipico testimone di come si possa cambiare radicalmente vita anche in modo poco o per nulla programmato e già avanti con l’età. A volte si pensa di avere tutto sotto controllo, il classico caso da moglie, figli, casa e lavoro, per poi ritrovarsi a rimettersi in gioco in un attimo.


CAPITAN JAMES

Un altro personaggio incredibile incontrato in quegli anni fu il mitico capitano James. Uno scozzese di mezza età, proprietario di un trimarano a motore che faceva la spola fra le isole dell’arcipelago, soprattutto fra Sal e Boavista. Con quell’imbarcazione aveva scorrazzato personaggi illustri in costa azzurra, in Inghilterra, nel mar ligure e in un sacco di altri posti. Ricordo una foto in cui veniva ritratto a bordo in compagnia di Giovanni Agnelli. Da anni aveva deciso di confinarsi in quell’angolo di mondo, un angolo verde smeraldo, azzurro e marrone come le lunghissime distese di spiaggia.

Con lui andammo a Boavista incontrando le balene a metà tragitto. Appena avvistate spense il motore e accese la musica mettendo il volume a palla. Ci disse che le balene adoravano la musica scozzese e che sarebbero venute. Pensai alla solita trovata abbocca turista. Comunque sia quelle arrivarono davvero e circondarono il trimarano. Un’emozione indescrivibile durata almeno un quarto d’ora. Purtroppo a Boavista esagerai, complice una bella ragazza napoletana con cui scolai birre prima ed una ottima bottiglia di bianco portoghese poi. Il tutto per annegare una montagna di aragoste servite in un bar d’altri tempi da una enorme Big Mama nera come il petrolio.

Fu li che uno dei nostri accompagnatori ordinò un triste petto di pollo. Lo guardammo tutti con un grande punto interrogativo e lui allargando le braccia disse che non ne poteva più di aragosta tutti i giorni! Sbagliai nella misura e me ne pentii amaramente. Infatti appena fuori dal ristorante capitano James ci disse che saremmo salpati subito perché il ritorno sarebbe stato contro corrente. Così scoprii le temibili  e famigerate onde lunghe dell’oceano Atlantico… Il trimarano ricordo che faticava a risalire onde alte come case a tre piani (vabbè forse sto esagerando però avevo bevuto..) per poi tuffarsi in giù ad alta velocità.

Amo alla follia i luna park ma questo per me era veramente troppo. Così le aragoste, la birra, il vino e tutto il Portogallo dei conquistadores si ribellarono e cominciai a diventare prima bianco, poi verde e poi con varie altre sfumature. Nessuno di quei colori mostrava una bella e sana immagine di me.

Mi dicevano che dovevo guardare l’orizzonte ma il maledetto era scomparso, inafferrabile e soprattutto in continuo e incessante movimento… Dimenticavo di chiarire che quel tipo di imbarcazione non permetteva di viaggiare fuori coperta. Eravamo chiusi dentro ad una scatola in balia delle ire di Nettuno. Puntai ad una porticina, mi feci coraggio e chiesi al mozzo se quella fosse la toilette. Il resto è semplicemente inenarrabile. Persi la mia battaglia con i portoghesi e i loro colonizzati dieci a zero. Posso solo dire che il piccolo spazio angusto, in cui si doveva stare ricurvi, era dotato di un buco, lo scarico. Ecco quello era intasato e lo era già prima che io arrivassi. Impiegammo un’altra mezz’ora per arrivare ed ero totalmente privo di forze.

Quando uscii ero talmente imbarazzato che bofonchiai giusto qualche sorry all’indirizzo del capitano e della sua crue. Immaginai per ore il povero mozzo darsi da fare in quel piccolo buco d’inferno. Il giorno dopo incontrai di nuovo il capitano sul molo e lo salutai scusandomi ancora. Lui con un largo sorriso mi disse di non preoccuparmi.

Fu allora che riuscii ad immaginare che probabilmente qualche vip del passato si trovò nella mia stessa situazione. Magari a causa del troppo champagne. Così ho rivisto la mia disavventura marchiandola come una vomitatoria diarroica di alta classe e in alto mare.

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