BEYONCE: LEMONADE
08 Luglio 2016
Giancarlo Fazzi, Senior Travelers, Italy
Viaggioblues naviga nelle acque al limone dell’ultimo capolavoro di Beyonce. Acque tutt’altro che calme ma piene di insidie, correnti, onde altissime, vortici e spruzzi acidi. Solo rari momenti di calma apparente.
Lemonade é in realtà una macchina del tempo oppure, se vogliamo, una nave scuola per amanti della musica ma anche un libro aperto che racconta gli ultimi secoli di tormenti afroamericani in terra di libertà e opportunità.
Lemonade é un vero concept album che più che raccontare urla, denuncia. Lascia ben poco fra le righe. Prende l’ascoltatore per mano e lo porta in quelle acque di cui si parlava, mostrando la complessità del mondo della donna e dei rapporti sentimentali, rappresentando a più riprese il concetto di autoguarigione e di emancipazione. Soprattutto nel visual album, opera di assoluto valore già da sé (considerando che l’estratto Sorry ha fatto 37mln di visualizzazioni in una settimana, mi aspetto grandi riconoscimenti anche ad inizio 2017), non si può non notare la dominante presenza black, chiara rappresentazione dell’intenzione del concept, il cui filo conduttore è indiscutibilmente quello della tutela dei diritti degli afroamericani. Esperienza, quella del film, rinforzata dalla voce fuori campo della poetessa Warsan Shire.
I due brani che più rappresentano questo concetto sono senza dubbio Freedom e Formation.
Gli oltre cinquanta credits di collaborazione all’album ci parlano però anche dell’aspetto più musicalmente tecnico. Questo lavoro è un vero e proprio viaggio nella storia della musica dell’ultimo secolo. Infatti il pezzo più pop, Daddy Lessons, è anche quello più antico, almeno nella scenografia del film, dove compaiono tutti gli stereotipi del blues anni venti e trenta, quello legato alle piantagioni e ai raccoglitori di cotone. Abbiamo così il vecchio chitarrista, lei che canta dietro di lui in tenuta assolutamente afro e quei cori, molto gitani, ad accompagnare tutto il brano.
Poi abbiamo i sample dei Led Zeppelin in Don’t hurt yourself, brano molto rock suonato con Jack White pieno di distorsioni e con una batteria pazzesca.
Scivoliamo quindi nella favolosa 6 inch, in collaborazione con The Weeknd con quel finale un po’ alla James Bond e quel testo che ci cala completamente nei panni della tormentata protagonista.
Citiamo poi la struggente Sandcastles, dove la voce rotta dal pianto di Bey vale da sola tutto l’album (sembra c’è l’abbia un po’ con Jay-Z e con gli arredi di casa che volano ovunque…)
Bellissima e anche molto vintage All night che sembra essere una delle preferite dalla stessa Beyonce.
L’approdo a Freedom e a Formation è letteralmente esplosivo. Due brani diversissimi fra loro musicalmente ma meno come contenuti del messaggio. Freedom sembra uscito dal ‘68, con un organo Hammond distorto che fa impazzire per poi infilarsi nell’epoca moderna con Kendrick Lamar e il suo rap strepitoso. Formation, già sentita al Superbowl con Bruno Mars, è la assoluta modernità.
Questo album, in termini di ingegneria del suono, non è affatto solo ai vertici ma rappresenta indiscutibilmente un nuovo standard qualitativo. Gli arrangiamenti sono quanto di più culturalmente completo si possa trovare in un’unica opera, dettaglio quest’ultimo che dovrebbe far riflettere sempre di più sulle qualità e sull’intelligenza delle nuove generazioni di artisti che dimostrano non solo conoscenza ma anche rispetto della musica e dei loro predecessori.
Regalando l’album a mia nipote scrivevo queste parole:
“Questo è uno degli acquisti più azzeccati della mia vita musicale, un pezzo di storia della musica moderna, una visione, una rivoluzione.
Ecco cosa ti sto regalando: una rivoluzione.
Buon ascolto, buone emozioni.”
Penso che lavori simili vadano infatti vissuti e analizzati fino in fondo, come un viaggio d’altra parte, senza perdersi il minimo dettaglio.
Appuntamento con l’immensa Beyonce e l’album Lemonade nell’unica tappa italiana del Formation World Tour il 18 luglio allo stadio San Siro di Milano.
“Oltre al Blues ho un sacco di altre passioni ma nessuna di queste supera la quasi perversa attrazione che nutro per l’Andalusia, per il Flamenco e per le zingare dagli occhi neri”