Il treno a motore Diesel viaggia lentamente e dolcemente in mezzo ad una natura fantastica fatta di magnifiche e verdi montagne, fiumi azzurri e paesini in cui il tempo sembra essersi fermato.
Saranno sei fantastiche ore passate ad una velocità media di 40 km/h, lentamente, apprezzando quell’andare in conserva che sempre meno siamo capaci di apprezzare e vivere. I viaggiatori sono esclusivamente gente locale che utilizza questo mezzo veramente economico per muoversi da un paese ad un altro, trasportando sacchi di patate o verdure che cercheranno di vendere in qualche mercato o di barattare in cambio di altre materie. La cosa che emerge è la semplicità e l’umiltà di queste persone, vestite come si vestivano i nostri nonni, almeno questa è la nostra sensazione. Abiti grigi e marroni, mai un colore vivace, così come nelle foto in bianco e nero che più di una volta ho visto appese nella casa di mia nonna. Il centro storico della città di rivelerà molto piacevole dal punto di vista architettonico. Durante una visita ad una bottega conosciamo una signora che ci mostra una foto in cui consegna una ceramica a forma di mondo tutta colorata al segretario nazionale dell’ONU Ban Ki Boon.
All’indomani ci attende una tappa molto piatta. Uno stradone rettilineo, trafficato e, per l’appunto piatto, esattamente il percorso più adorato da chi va in bicicletta, ovviamente con una poco velata ironia. Su un cavalcavia all’uscita dalla città buttiamo un’occhiata su una baraccopoli presente in una delle tante zone industriali dismesse ed abbandonate alla fine degli anni ottanta, dopo la fine dell’influenza comunista in Bulgaria. Ci fermiamo a salutare dei bambini di etnia Rom, una delle “minoranze” assieme ai Sinti che costituiscono il 3% della popolazione Bulgara, costretti a vivere per ragioni di tipo socioculturali in una situazione di assoluta povertà, senza elettricità, acqua e servizi igienici. Purtroppo tutte queste generazioni avranno il destino segnato. Infatti l’alcoolismo è una piaga sociale nei paesi dell’est Europeo.
Riprendiamo il nostro cammino con un velo di tristezza ed arriviamo a fine giornata nella città di Banya. Troviamo una SPA a 48 Lev con la colazione inclusa ma decidiamo di pernottare presso un’affitta camere visto che ci siamo dimenticati il costume a casa.
All’indomani si riparte per la valle delle rose; la Bulgaria è infatti il primo produttore mondiale di olio estratto dalle rose. Ovviamente passeremo con un leggero anticipo rispetto alla fioritura! Questo lascerà a noi un minimo di amaro in bocca.
Ci fermiamo in un piccolo paese caratterizzato da un centro molto vivo ed attivo. Emerge subito la separazione delle differenti etnie: da una parte i bambini bulgari e dall’altre i bambini etnia Rom.
Ci fermiamo a mangiare un boccone e decidiamo di prendere una scatola di cioccolatini per i ragazzini che inizialmente rifiutano e poi decidono di accettare di buon grado. In Bulgaria tutti fumano ed anche i ragazzini che non avranno più di dodici anni hanno già in bocca la sigaretta. Daniela da ex (si spera per sempre) fumatrice mi fa notare che ragazzini aspirano il fumo delle sigarette esattamente come fanno i grandi. È impressionante come almeno il 90% della popolazione bulgara fumi un numero astronomico di sigarette. Il prezzo delle sigarette è meno della metà rispetto all’Italia ma è anche vero che lo stipendio medio è di circa 300 Euro al mese. I ragazzini ci chiedono dei soldi per potere mangiare ma è evidente che anche in questo hanno imparato dai grandi, infatti nessuno di loro sembra essere deperito. Anzi il più spavaldo del gruppo risulta essere anche di stazza notevole.
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Proseguiamo la nostra avventura ammirando il paesaggio e dopo un altro pezzetto di strada decidiamo di fermarci in un piccolo paesino per bere qualcosa di fresco. Troviamo un unico bar in tutto il paese. Non facciamo a tempo a varcare la soglia del locale che già ci sentiamo catapultati in un’altra realtà. Non solo l’arredamento ma anche i personaggi sembrano fermi a quarant’anni fa. Ci avviciniamo al bancone e ordiniamo da bere. La proprietaria sembra completamente persa in un mondo tutto suo, non parla inglese o comunque non comunica con noi a parole ma solo a sguardi. Soprannominata con dolcezza Mortimer per via dello sguardo un po’ assente, della lenta camminata e dello stile non proprio attuale.
Ci sediamo e il nostro sguardo si posa subito su due signori seduti al tavolo. Nessuno dei due parla, si guardano, bevono, guardano il monitor, si riguardano, fanno roteare il bicchiere e ribevono. Anche loro di fatto sembrano comunicare solo con lo sguardo. Il tutto è molto surreale ma allo stesso tempo molto affascinante.
Dopo qualche minuto decidiamo che è il momento di tornare alla realtà e ricominciare a pedalare. Ad un certo punto scorgiamo un meraviglioso panorama (esattamente quello che si dice un paesaggio da cartolina) ed una macchina parcheggiata; si tratta di una macchina datata di un certo livello stilistico. In un’ottica molto romantica pensiamo ad una coppia appartata in un luogo idilliaco ma il nostro pensiero svanisce quando dal bolide scendono due uomini, il primo di una stazza molto importante ed il secondo uscito direttamente da una puntata di Indiana Jones. Barba lunga e baffi ben curati, stivali e vestiti da avventuriero si avvicinano verso di noi con sguardo fiero, equipaggiati di badile, secchiello ed una piccola ciotola. Il più giovane con un inglese molto stentato ma apprezzabile dice:” I’am a gold hunter”. Quello che all’inizio pensavamo fosse un incontro tra due innamorati in un luogo paradisiaco, si trasforma in una situazione assolutamente impensata ma altrettanto romantica. Il più giovane ci mostra sorridente delle piccole pagliuzze d’oro, si tratta forse di qualche milligrammo. Sicuramente la loro speranza è quella di trovare il famosissimo filone tanto decantato nella sigla di Yattaman, bellissimo cartone animato della nostra infanzia!
Yattaman, Yattaman, al gran filone d’oro,
Yattaman, Yattaman, buona guardia fa,
Yattaman, Yattaman, divertente ma severo.
Coraggioso il battagliero Yattaman.
Attraversiamo paesi molto piccoli e ci fermiamo a mangiare in un piccolo borgo. Il locale è nuovo e sembra costruito in uno stile italiano tant’è che chiediamo informazioni alla ragazza che è li a lavorare. Molto gentilmente (come tutte le persone incontrate durante il viaggio) ci racconta un po’di notizie sia sul locale che su di lei e ci indica un posticino dove poter andare a dormire. Un’affittacamere al paesino successivo. Dopo la splendida cena partiamo in direzione Kilsura. La strada è tutta in discesa, quindi dovremmo raggiungere il paese molto velocemente. O almeno questa era la nostra aspettativa. La strada è deserta e non incontriamo nessuno ma arrivati a circa metà percorso ci accorgiamo della presenza di due piccoli cuccioli sul bordo della strada. Come si fa a non fermarsi e lasciarli li da soli?
Così con il cuore in mano, decidiamo di prendere un cucciolo a testa e portarli con noi in bici fino al paese successivo, nella speranza di trovare un posticino più adeguato anche per loro.
I cucciolotti ci hanno preso in simpatia e ci difendono da qualsiasi persona ci si avvicini. Oramai fanno anche loro parte del nostro viaggio. Dopo un po’ di peripezie (l’affittacamere era pieno), lasciamo i due cuccioli in una casa che ci sembra molto affidabile e con le nostre luci frontali in testa ripartiamo in cerca di un riparo per la notte.
Arriviamo davanti a un bar, travestito per occasione da ristorante (probabilmente c’era una festa) e ci fermiamo per chiedere indicazioni. Alla fine un ragazzo particolarmente alticcio cerca in tutti i modi di convincerci che ci sono hotel nelle vicinanze. Facciamo un po’ di conversazione e con il sorriso sulle labbra ripartiamo. Oramai si è fatto un po’ tardi e così decidiamo di accamparci. Arriviamo davanti a Gardaland, così lo abbiamo soprannominato. Uno spazio enorme occupato da una struttura che sembra appartenere a tutto fuorché a questa splendida nazione. Sembra essere stato catapultato qua da un altro mondo. Il parcheggio è enorme e così piazziamo la nostra tenda. La notte passa tranquillamente anche se la pioggia ci tiene compagnia. La tenda fa decisamente il suo lavoro e così la mattina, sotto un cielo grigio e un po’ di freddo, sistemiamo le nostre cose e ripartiamo in direzione Sofia.
La strada non offre grossi panorami, addirittura facciamo un pezzo di autostrada e dopo una settimana a dirci che eravamo stati fortunati a non aver mai bucato eccoci qua a sistemare la mia ruota posteriore. Come si suol dire: ce la siamo un po’ gufata.
Quasi in prossimità di Sofia ci fermiamo in un locale per provare la Pizza. Da buoni italiani, non possiamo andare via senza aver assaggiato questo piatto. Il locale è molto bello e le persone non si smentiscono. Molto gentili e disponibili a fare due chiacchiere e a farci sentire a nostro agio.
Così arriviamo a Sofia, punto di partenza e di arrivo di questo bellissimo viaggio, con un velo di tristezza ma con la felicità di chi, anche se per poco tempo, ha potuto vivere e condividere un’altra realtà piena di incontri ed esperienze, assaporando ogni momento ed ogni dettaglio.
Un’esperienza molto positiva, in un paese al momento poco contaminato dal turismo di massa ma che ancora sta pagando la corruzione dilagata a dismisura dopo la caduta del blocco comunista nell’est Europeo.
Sicuramente ci rimarrà impressa la cordialità delle persone, la loro umiltà, la loro voglia di emergere ma anche la discrepanza tra le differenti etnie che abitano il paese. Purtroppo le etnie minori sembrano essere condannate a stare al margine della società, bloccate da antichi costumi ed usanze che portano le persone a vivere principalmente di espedienti. Uno dei problemi odierni è l’abuso di alcool senza distinzione di età e sesso; azzurro come il cielo profondo come lo sguardo di chi la vita lo ha scavato.
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“Ora il mio modo di viaggiare rispecchia la mia personalità. Viaggio in modo molto basico, con la voglia di esplorare e di capire. Soprattutto quello che cerco di capire è come mai in tanti posti che visito la gente abbia ancora voglia di sorridere”